
Di cosa parliamo quando parliamo di valori etici? E che rapporto c’è tra i valori e i diritti?
Iniziamo col dire una cosa ovvia. Un valore morale non è una proprietà fisica delle cose, non è qualcosa che si possa osservare al microscopio: dire che esistono certi valori morali è, piuttosto, un modo per dire che noi diamo importanza a certe cose piuttosto che ad altre. Sotto questo aspetto, i valori sono presenti in tutte le società umane, perché da sempre diamo importanza a certe cose piuttosto che ad altre. Dire – come qualcuno dice – che viviamo in una società totalmente priva di valori non ha, quindi, molto senso. È vero piuttosto che lo spettro dei valori si è spostato: alcune cose a cui davamo importanza un tempo non sono più importanti oggi, e viceversa. Ma è vero che se io do importanza a delle cose che sono andate “fuori moda”, posso avere l’impressione che la gente non creda più in nulla, che “il deserto” stia avanzando. Si tratta, però, di un errore percettivo.
Un’altra cosa ovvia: quando attribuiamo un valore a qualcosa, ci imponiamo anche di rispettare dei vincoli o delle restrizioni nel modo in cui la trattiamo. Se una certa cosa è importante per me, allora sento di doverla trattare con un certo riguardo, sento che ci sono delle cose che non posso fare con quella cosa. Ad esempio, non posso distruggerla, trascurarla, maltrattarla. Non ha alcun senso dire che una cosa ha valore per me (o per chiunque altro), se poi non me ne prendo, in qualche modo, cura.
Terzo punto, anch’esso abbastanza ovvio. Ci sono due sensi per cui possiamo dare importanza a qualcosa. Una cosa può avere un valore strumentale, oppure può avere un valore intrinseco. Ciò che ha valore strumentale è importante per la sua utilità, mentre ciò che ha valore intrinseco è importante indipendentemente dalla sua utilità. Il valore dei miei occhiali da vista sta nel fatto che mi sono utili per vedere (e anche un sasso può valere qualcosa, se lo utilizzo per pavimentare una strada).
Invece una persona è importante indipendentemente dalla sua utilità. Lo è perché possiede un suo mondo interiore, dei desideri, dei fini che sono importanti per lei, indipendentemente da me, e indipendentemente dagli altri. È vero che le persone possono anche “rendersi utili” facendo questa o quella cosa per noi, o lavorando, o prendendosi cura di altre persone. Ma il valore che attribuiamo alle persone, la loro importanza, non dipende unicamente dalla loro utilità. Le persone hanno, in questo senso, un valore intrinseco.
Le cose che hanno un valore intrinseco valgono generalmente di più delle cose che hanno solo un valore strumentale. Se, per salvare la vita a un neonato, devo rompere la portiera di un’automobile, non esito a rompere la portiera. Questo vuol dire che le restrizioni cui sono soggette le cose che hanno valore strumentale sono meno forti di quelle cui attribuiamo un valore intrinseco: possiamo ignorare il vincolo che ci impedisce di danneggiare un’automobile, se c’è in ballo qualcosa che ha un valore intrinseco.
Perché è così? La ragione più plausibile è che i valori strumentali sono derivativi, cioè derivano da ciò che ha un valore intrinseco. Se non ci fossero esseri umani, allora cose come gli occhiali e le automobili non avrebbero alcun valore strumentale, perché non servirebbero a nessuno.
Un problema importante per l’etica è quello di stabilire cosa abbia valore strumentale e cosa abbia valore intrinseco. Un tempo, per esempio, c’era la schiavitù. Ciò significa che esisteva una categoria di persone – gli schiavi – alla quale veniva dato un valore meramente strumentale. E infatti lo statuto giuridico degli schiavi era identico a quello dei beni che potevano essere venduti e comprati al mercato. Il fatto di attribuire un valore intrinseco a tutti gli esseri umani è la condizione necessaria (anche se non sufficiente) che sta alla base dell’abolizione della schiavitù.
Oggi che la schiavitù è stata abolita (almeno da noi, in Occidente), si pone il problema se includere altre categorie di oggetti nella classe di ciò che possiede un valore intrinseco. Queste sono: alcuni tipi di animali, i feti nelle prime settimane dopo il concepimento, le persone che sono finite in coma irreversibile.
Quanto detto finora non è ancora sufficiente a comprendere cosa sia un diritto. Se vogliamo capirlo, dobbiamo fare un passo ulteriore. Considerate due cose a cui diamo un valore intrinseco, come un cane e un bambino. Sareste disposti a sacrificare la vita del cane, sapendo che è l’unico modo di salvare la vita al bambino? Se la risposta è sì, vuol dire che per voi la vita di un essere umano è, in generale, più importante di quella di un animale. Notate: qui non dobbiamo più scegliere tra un’automobile e un bambino, cioè tra un valore strumentale e uno intrinseco, ma tra due cose a cui diamo un valore intrinseco. Sia il cane che il bambino possiedono un valore intrinseco, e tuttavia il valore che attribuiamo al bambino è più grande. Di conseguenza, la restrizione sulla sua vita è più forte, più vincolante.
Notate come, fin qui, il criterio che guida le nostre scelte sia, per così dire, quantitativo: dovendo scegliere tra due beni dello stesso tipo, sacrifichiamo quello che vale meno per quello che vale di più. (Lo stesso criterio vale quando dobbiamo scegliere tra due esseri umani. Sareste disposti a sacrificare la vita di un bambino, se fosse l’unico modo di salvare la vita di un altro bambino? Suppongo di no perché, a parità di altre condizioni, il valore delle due vite si equivale.)
Ma adesso considerate questo caso: sareste disposti a sacrificare la vita di un bambino sano, se fosse l’unico modo di salvare la vita di due bambini ammalati? Se la risposta è no, vuol dire che, per voi, il valore di una vita umana non è soggetta a un criterio meramente quantitativo. La vita di un bambino vale tanto quella di un altro. Ma la vita di due bambini non vale di più di quella di uno. In questo caso 2 non vale più di 1! O forse vale di più, ma questo fatto non è sufficiente a ignorare il vincolo che ci impedisce di sacrificare la vita del singolo. Ebbene, è a questo punto che ha senso dire che il bambino ha il diritto di vivere. Un diritto non è semplicemente un vincolo morale. È un vincolo talmente forte che non può essere allentato nemmeno quando c’è in gioco un valore più grande dello stesso tipo. Se una persona ha il diritto di vivere, allora non è possibile ucciderla, nemmeno per salvare la vita di altri individui.
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Una buona trattazione del tema la trovate qui:
KAGAN, SHELLY (1998), Normative Ethics, Westview Press, Boulder-Oxford, pp. 170-177
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